Tumore al seno: come la chirurgia moderna riduce l’invasività e rispetta il corpo
/in news /da RobertoQuando arriva una diagnosi di tumore al seno, l’idea di doversi sottoporre ad un intervento chirurgico, in molti casi, è vissuta con una preoccupazione che spesso si tinge di angoscia. Perché la chirurgia senologica, ancora oggi, viene associata all’idea della mastectomia radicale o comunque a un importante ed evidente deficit estetico, a quella di una menomazione fisica che sconvolge il vissuto di una donna. Eppure, oggi, grazie ad una chirurgia più ‘dolce’ e più rispettosa del corpo – e della sensibilità – delle donne si può dire che non bisogna averne paura. Ne parliamo con la Prof.ssa Daniela Andreina Terribile, chirurgo senologo al Mater Dei General Hospital.
Possiamo affermare che la soluzione chirurgica è un’alleata della salute delle donne?
Certamente la chirurgia rimane ancora, stiamo parlando di patologia tumorale o casi sospetti, l’arma più incisiva. Anche se, sempre di più, il trattamento del tumore al seno e, quindi la guarigione, passano attraverso un approccio multidisciplinare. Il chirurgo non è più, come nel passato, l’unico demiurgo anche se, spesso, spetta al chirurgo senologo il coordinare tutte le procedure in maniera collegiale. Un aspetto, questo, molto diverso rispetto al passato: il chirurgo operava e poi erano gli altri colleghi a continuare a prendersi carico della salute della donna. Non solo: spesso erano le donne a doversi trovare gli specialisti. E questo si traduceva in opinioni differenti, spesso contrastanti che generavano nelle pazienti un grave disagio soprattutto dal punto di vista psicologico. Oggi, per il trattamento del tumore del seno, così come per altre patologie, si utilizza un approccio multidisciplinare, collegiale, condiviso e concordato in cui ogni medico recita un ruolo importante. E questo, mi creda, aiuta moltissimo le pazienti.
Il chirurgo è quindi un po’ il direttore d’orchestra e la musica è un po’ più ‘dolce’ di ieri?
Direi proprio di sì. L’evoluzione che fortunatamente c’è stata nell’ambito della chirurgia senologica viene considerata una vera e propria de-escalation cioè una ‘riduzione’ dell’approccio chirurgico in termini di indicazioni e di modalità di interventi. Prima il bisturi era la sola opzione. Adesso non è più così. Grazie alle tecniche mininvasive di radiologia a cominciare dalle biopsie. Si sta abbandonando l’ago aspirato a favore dell’agobiopsia. Si tratta di un prelievo micro-istologico che consente di effettuare la diagnosi con una certa accuratezza nella grande maggioranza dei casi. Questo permette di evitare molti interventi chirurgici inutili. Oggi la patologia tumorale benigna non viene quasi mai sottoposta ad intervento se non nei casi in cui non permanga un forte dubbio o in presenza di noduli benigni di grandi dimensioni e /o sintomatici.
In che senso la chirurgia senologica è più ‘rispettosa’?
Gli interventi di tumore al seno sono sempre più ridotti e più rispettosi. Ridotti perché con le diagnosi sempre più precoci, grazie ai programmi di screening, a una maggiore consapevolezza della donna di sottoporsi agli esami e a una radiologia sempre più raffinata e sofisticata, si riesce a cogliere lesioni veramente di pochi millimetri. Nel 70-80 per cento dei casi questo si traduce in interventi di tipo conservativo. Una conquista importante. L’altra grossa conquista è il concetto di ‘bisturi amico’. Mi riferisco a una chirurgia che non solo conserva il seno ma anche l’aspetto seno. Non ci si limita a togliere la parte malata ma con le tecniche mutuate dai chirurghi plastici o in collaborazione con loro è possibile rimodellare il seno ottenendo un risultato assolutamente accettabile anche da un punto di vista cosmetico. Salvaguardando sia l’aspetto oncologico che quello estetico. E quindi si scelgono ‘vie d’accesso’ nascoste, incisioni meno visibili e suture che con il tempo diventano poco o addirittura invisibili. Lo scopo, non sempre raggiungibile purtroppo, è che la donna non debba avere costantemente sotto gli occhi un esito “importante” del suo intervento.
La mastectomia è quasi l’ultima spiaggia. Anche in questi casi c’è rispetto del corpo della donna?
Assolutamente si, anche se non parlerei di ultima spiaggia. Si cerca di ricorrere sempre meno frequentemente a questo approccio ma solo quando è indispensabile o comunque la soluzione migliore e condivisa , oggi in circa il 30 %dei casi . Anche in queste circostanze è determinante ‘progettare’ prima l’intervento. Anche questo è un grosso cambiamento culturale. Oggi, per valutare il tipo di trattamento, non si aspetta più di trovarsi in sala operatoria. In passato alla paziente si diceva solo al risveglio come si era proceduto chirurgicamente. Oggi si deve effettuare sempre una attenta pianificazione preoperatoria per sapere quanto si deve asportare, e soprattutto nel caso di mastectomia, come si può ricostruire e chi deve essere al fianco del chirurgo senologo. Una mastectomia, quindi, non è, e non deve essere più, una terribile ‘sorpresa’ né per il chirurgo né per la paziente.
Quando si è in presenza di importanti comorbilità o di età molto avanzata è possibile che si debba rimuovere il seno senza ‘riscostruire’ ma nel 70 per cento dei casi è possibile fare una mastectomia conservativa con ricostruzione immediata. Si tratta di un intervento che asporta tutta la ghiandola mammaria ma lascia ‘l’involucro’ cutaneo esterno e, se possibile, anche il capezzolo e l’areola. Quindi con il chirurgo plastico si procede a posizionare una protesi temporanea o definitiva. Anche a questo riguardo le tecniche di ricostruzione sono cambiate. E ancora una volta parliamo di un lavoro di concerto. È importante condividere con il chirurgo plastico le tecniche di intervento in modo da rendere compatibile una buona asportazione con una buona ricostruzione. Una chirurgia, come vede, rispetto al passato, decisamente più gentile e rispettosa.
Ci sono donne che dopo la diagnosi vorrebbero essere operate immediatamente. È sempre questa la strada migliore?
Una volta, soprattutto quando i tumori erano grandi, si decideva comunque di fare la mastectomia. Oggi sappiamo che i tumori hanno determinate caratteristiche biologiche che dobbiamo conoscere per poter impostare correttamente in una valutazione complessiva e multidisciplinare il successivo iter terapeutico. Per questo a volte la giusta indicazione è un trattamento preoperatorio di chemioterapia – ne esistono diversi, con differenti protocolli a seconda delle caratteristiche del tumore – che riescono a ridurre, addirittura in alcuni casi a far scomparire, il tumore. Questo significa che un intervento preventivato come una mastectomia può diventare un trattamento molto più ridotto come una quadrantectomia, associata all’asportazione di un numero limitato di linfonodi, arrivare cioè ad un intervento ugualmente risolutivo ed efficace ma meno demolitivo. Valutare prima le caratteristiche del tumore è un cambiamento importante. Fino a poco tempo fa un nodulo dall’aspetto tumorale alla palpazione o ad una radiografia veniva comunque asportato senza altre indagini. L’indicazione era sempre la sala operatoria. Oggi si studia il tipo di tumore con indagini approfondite per decidere se effettuare o posticipare un intervento.
Quindi il tempo dell’attesa non è ‘tempo perso’
È importante spiegare bene alla paziente che le azioni che si fanno prima di un intervento non sono assolutamente una perdita di tempo. Quasi sempre le donne arrivano con l’angoscia di fare tutto ‘subito’, spinte da amiche e familiari a non aspettare. Niente di più sbagliato. È fondamentale fare il punto della situazione e raccogliere tutte le informazioni possibili. Un esame in più non è mai tempo perso ma significa scegliere il trattamento più giusto. La personalizzazione della cura è forse un termine di moda ma niente di più vero in questo campo. Non esiste un solo tipo di tumore e quindi non esiste un solo tipo di approccio. Parlerei quindi di chirurgia non solo personalizzata ma ragionata. In grado di considerare non solo l’asportazione della malattia ma anche il risultato nel tempo. Ci sono donne che vengono da me terrorizzate chiedendomi di non tenere conto della parte estetica. Parlano di ‘togliere tutto’, a volte anche il seno sano, pur di uscire dal tunnel dell’angoscia. Vorrei rassicurarle che la chirurgia conservativa ha gli stessi indici di sopravvivenza, anche a distanza, di quella dell’asportazione completa.
Una precisazione. È chiaro che la chirurgia è importante ma lo sono anche i trattamenti adiuvanti. Anche questo un messaggio importante. La chirurgia da sola non basta. Per impedire, ridurre e attenuare la possibilità delle recidive bisogna contare sulla radioterapia, la chemioterapia, la terapia ormonale e l’impiego di sempre più innovativi farmaci biologici. È il complesso delle cure che cura.
Quindi, parliamo di una donna più consapevole che in questa orchestra ha il suo spartito
L’approccio chirurgico nel tempo è quello che si è rivelato più sensibile alla esigenza della donna di tornare ‘come prima’. Ma per riuscirci il tempo, ripeto, è un fattore essenziale. Non si tratta di andare dal meccanico per sostituire un pezzo danneggiato. Una donna con un tumore al seno vive nel proprio intimo una grande tragedia. Perché la diagnosi mette in pericolo progetti importanti. Pensiamo a donne giovani che desiderano di avere un figlio. O hanno figli piccoli e temono di non riuscire più ad accudirli. Intercettare le necessità di ‘quella’ donna è importante. Occorre, quindi, tempo per ‘indagare’ ma anche per spiegare alla paziente i pro e i contro di ogni possibile scelta. Non solo sotto il profilo chirurgico e medico ma anche psicologico. Mi spiego meglio. Non tutte le pazienti scelgono, ad esempio, la ricostruzione post-intervento. Ci sono donne che rifiutano l’idea di un corpo estraneo che le potrebbe costringere a ulteriori possibili interventi per accorgimenti e ritocchi. Una scelta che è importante valutare prima di entrare in sala operatoria.